Draga & Aurel sono una coppia dinamitica, si esprimono attraverso un’esplosione di creatività radicata nella formazione eclettica di entrambi: lei come textile designer e lui come artista artigiano, quasi per caso si sono avvicinati al design ed è stato amore reciproco. Da un lato la loro capacità di progettare in modo diverso rispetto ai designer tradizionali, perlopiù architetti e ingegneri, dall’altro le aziende lungimiranti - in primis  Baxter ma anche Wall&Decò e Ivano Redaelli – che senza paura hanno abbracciato il loro approccio. Un approccio che dà grande valore all’unicità, al processo produttivo, alla manualità e dunque non facile da conciliare con le esigenze industriali. Eppure proprio questa variabile critica ha decretato il loro successo perché li ha resi diversi da tutti gli altri e quindi preziosi. Foto di copertina ©PieroGemelli.

Il vostro background è particolare e variegato, questo in che modo incide sul vostro approccio al progetto?

É la forma mentis legata a un percorso “decostruito” rispetto a quello di un architetto designer. È una strada fatta di tanta passione che entrambi abbiamo sempre avuto, per l’arte innanzitutto e poi per quanto riguarda me il design del tessuto che ho fatto per tantissimi anni, sia nella moda che nell’arredamento, mentre Aurel ha dipinto ma è anche appassionato di musica – lui ha portato la percussione africana in Italia – ha insegnato nelle scuole con un approccio ispirato a Munari e quindi tutto improntato sul valorizzare la creatività senza quelle regole da cui normalmente si parte. A un certo punto questo nostro miscuglio di esperienze si trova anche insieme a una passione per il vintage. Tutti questi ingredienti, insieme al nostro approccio al lavoro a mano, si unisce agli oggetti di arredo. All’inizio non avevamo l’intenzione di diventare uno studio di design o editori di piccole collezioni, ma solo di creare a mano, un approccio molto libero alle cose che è ciò che ci caratterizza tuttora ma negli ultimi anni abbiamo cercato di portare questo nostro approccio in dei “paletti”, per quanto possibile.

Come vi siete conosciuti?

A Como a cena da un’amica, abbiamo scoperto che entrambi eravamo a Firenze nello stesso periodo, ci interessavano le stesse cose, frequentavamo gli stessi posti senza mai incrociarci, un po’ alla “Sliding doors”. Abbiamo scoperto questo passato in comune e da lì è nato tutto. Nell’immagine la carta da parato  Matrix di Draga&Aurel per Wall&Decò

Matrix by Draga&Aurel for Wall&decò

Dimora delle balze a Noto: di cosa ti sei occupata e qual è il concept?

Noi facciamo pochi progetti di interni e solo quelli che ci piacciono davvero. Dimora delle balze, fatto in collaborazione con Stefano Guidotti che è anche direttore dell’ufficio stile di Baxter, è stato un’esperienza molto divertente. È una dimora storica che ha stratificazioni del passato incredibili e questo spessore del passato si sente e ci ha molto guidato. L’idea era creare un luogo che in origine non doveva essere un hotel ma una vera e propria residenza. Abbiamo recuperato tantissime cose, anche tecniche di pittura per mantenere o richiamare ciò che era questo posto. Quindi concepito non come un albergo ma come una casa in cui si mescolano oggetti vintage di varie epoche, che abbiamo cercato in giro. Nell’immagine una camera della Dimora delle balze, a sinistra il tavolino Liquid di Draga&Aurel

Dimora Delle Balze Noto

In questo periodo è difficile spostarsi e andare in giro: la creatività ne risente oppure si trasforma e trova altre risorse?

Il fatto che non ci possiamo spostare è sicuramente una forma di castrazione fortissima e niente può sostituire un viaggio, una visita in una galleria, addentrarsi in un mercatino, o anche partecipare ad un evento. Poi naturalmente dobbiamo essere creativi e trovare un modo per andare oltre. Personalmente faccio sempre una parte di ricerca in forma digitale e poi cerco di capire da dove viene ciò che trovo, ma è davvero dura non potersi muovere. Citando Stefano Massini, credo che il tempo per noi fosse come un contenitore che riempivamo in maniera bulimica, spostandoci e organizzando qualsiasi cosa ma adesso questo concetto è cambiato perché non potendo riempire questo contenitore come prima, il contenuto diventiamo noi e questo è un concetto ancora da vivere, elaborare. Dobbiamo prendere ancora coscienza di questo contenuto che siamo noi. E da questo punto di vista è doloroso ma interessante ed è un processo che richiede il suo tempo.

La vostra collaborazione con Baxter è ormai un sodalizio, come è nata e come si svolge?

Elle Decor aveva fatto un servizio su un nostro progetto fatto con Beatrice Rossetti e Piero Gemelli fatto tutto sul recupero e Paolo Bestetti (fondatore di Baxter ndr) l’aveva visto ed era rimasto colpito in particolare da una poltrona rivestita con un tessuto lavorato da noi e accanto un tavolino di Aurel. E lui quella poltrona la vedeva come una poltrona Baxter. Ci ha chiamati e ci ha detto che desiderava venire a vedere il nostro studio con Paola Navone che per noi era un idolo e noi siamo andati in totale fibrillazione. Sono venuti e ci hanno chiesto di lavorare a un progetto speciale a Cracovia che è andato molto bene ed è proseguito con il salone del mobile per poi diventare sempre più strutturato e ormai sono 12 anni che lavoriamo insieme. Nell’immagine la poltrona  Leon , il divano  Brigitte , la luce Googie e la poltrona  Greta con nuovo rivestimento tutto di Draga&Aurel per la collezione 2020 di Baxter .

Leon, Brigitte, Googie and Greta by Baxter

A proposito del lavoro con le aziende: come si concilia la libertà di espressione e sperimentazione con le logiche aziendali?

Lo sviluppo più difficile nel nostro caso è la finitura perché la maggior parte dei nostri tavoli ad esempio presenta un nostro intervento finale che sui grandi numeri è difficile. Le grandi aziende vogliono l’unico, rifinito a mano ma perfetto e questo è impossibile. E quindi bisogna trovare delle soluzioni, grazie anche al confronto con il reparto tecnico delle aziende. Quindi il percorso è stato quello di capire cosa del nostro lavoro artistico e artigianale - e in che modo - si potesse ripetere senza perdere l’unicità, che del resto è ciò che l’azienda chiede.

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