Le interviste di MOHD: Philippe Nigro, sull’importanza delle dinamiche relazionali tra individuo e oggetto
Nato a Nizza, designer indipendente dal 1999,
parla perfettamente italiano, perché ha lavorato e lavora molto con le aziende italiane, di cui apprezza l’approccio al progetto, come spiegherà in questa intervista. Il suo design è schietto, vivace, ricco di colore ma anche ancorato al reale: si tratta di arredi pensati per durare, per non stancare lo sguardo e per entrare nel profondo della vita di chi li usa.Guardando i tuoi progetti, ho trovato contemporaneità ma anche rimandi al passato. É una mia impressione oppure in qualche modo la tua estetica è influenzata dal mobile del passato?
Dipende molto dai progetti, dalla tecnica utilizzata per realizzarli ma anche dal cliente. Questo significa che cerco di adattare il disegno non a uno stile mio, per forza riconoscibile ma piuttosto che somigli all’azienda. Quindi se le aziende sono storiche, hanno una storia importante, il progetto sintetizza questa storia.
Quindi quando inizi a lavorare con un azienda studi un po’ la sua storia e il suo stile?
Si, certo è il passo fondamentale per iniziare qualsiasi progetto. Per me è importante capire come l’azienda si è ritrovata ad essere quello che è, se sia un caso oppure ci sia l’intenzionalità del fondatore. E questo cambia il mio approccio al progetto.
E quando il progetto si spinge in avanti, quanto entri nel merito del processo produttivo?
Il progetto è sempre un dialogo, spesso presento delle idee che o sono azzeccate da subito oppure vanno modificate e sistemate in base a delle cose legate alle tecniche che magari mi sono sfuggite. O magari i tecnici danno delle indicazioni e poi io rispondo e loro magari scoprono delle cose nuove.È un dialogo benefico sia per me che per l’ufficio tecnico.
Cosa fai per rendere i tuoi progetti sostenibili?
Questo ovviamente è un tema vitale e io cerco di seguirlo nel mio piccolo ma devo dire che un mobile se non è usa e getta è già sostenibile perché è destinato a durare. Sia per la qualità, sia perché l’utente si affeziona. La sostenibilità è un tema che riguarda anche molto le aziende e i materiali che usano e le aziende si stanno trasformando in questo senso perché è inevitabile sia a livello etico che normativo, sia per il rispetto morale dell’ambiente sia per l’obbligo politico.
È interessante il discorso del cliente che si affeziona all’oggetto. Quindi disegnare pensando alla relazione che si instaura tra il cliente e l’oggetto è un modo per interpretare la sostenibilità?
Si, ma questo è un tema che ho sempre inserito nel mio lavoro perché mi pongo come utente dei miei oggetti. E il mio approccio da utente è di scegliere l’oggetto giusto, pensato bene, nel rispetto dell’ambiente. E lo tengo perché fa parte delle nostre vite, ci si abitua a vivere con esso. Quindi questo aspetto relazionale è una cosa evidente. Poi c’è qualcuno che pensa che non bisogna affezionarsi a un oggetto materiale ma io invece credo che l’oggetto sia qualcosa che contribuisca al benessere.
Mi racconti come sono nati alcuni dei tuoi ultimi progetti: Phileas per
e la lampada per ?Phileas è un divano di Ligne Roset, con cui collaboro da dieci anni ed è più classico rispetto a ciò che fa l’azienda, rimanda alle poltrone comode del secolo scorso, ricorda anche un po’ l’estetica dell’Orient Express. Ligne Roset è nata più nell'estetica degli anni ’70 ed è molto vicina alla metodologia progettuale e produttiva italiana. Respiro deve il suo nome alla sua forma: sono come pagine che si aprono e lasciano passare la luce, lasciando un interrogativo su dove si trovi la fonte di luce. Va bene per un contesto privato ma anche per l’ambiente ufficio, grazie anche alle varianti di misura.
Cosa intendi quando dici che Ligne Roset ha un approccio progettuale “all’italiana”?
Curiosità, ricerca, presa dei rischi, talvolta anche dello sbaglio, che è una cosa che va diminuendo perché si sta attenti al budget. E in questo senso Ligne Roset raggiunge questo modo di amare il progetto tipico italiano.
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